Da Barcellona a Potenza, viaggio nel ‘bel calcio’ di Raffaele: “Divertimento e disciplina. Io come un sarto”

 

“Per me è impensabile che un calciatore non si diverta quando gioca o si allena: devi sempre ricordarti di quel bambino che calciava il pallone sotto casa con la porta come garage, immaginando il tombino per strada come il dischetto del rigore. Se ti diverti, e lo fai seriamente, allora giocherai anche bene”. Barcellona (Pozzo di Gotto), città ‘figlia’ e così evocativa dell’omonima metropoli catalana, ha sicuramente influenzato Giuseppe Raffaele. L’allenatore quarantatreenne del Potenza Calcio nella sua città natale ha maturato la propria visione estetica del calcio, bello e divertente. Puro divertimento sì, “purché sia ‘disciplinato’”.

Lo spiega lui stesso, ai microfoni di Gianluca Di Marzio: “Pensare che il bel gioco arrivi grazie a un algoritmo matematico o a una fantomatica formula magica è per me utopia. Il calcio, quello definito ‘bello’, nasce prima ancora di scendere in campo. Nasce dalla serietà di un gruppo che mette da parte ogni arrivismo personale, mettendosi a disposizione del compagno al proprio fianco; nasce dalla serietà che metti in ogni tuo gesto, dal momento in cui prepari gli scarpini negli spogliatoi, fino a quando raccogli i palloni dopo un duro allenamento. È la forza morale di un gruppo che lo rende, poi, anche forte e ‘bello’ da vedere la domenica in campo”. 

Percorrendo la via Pretoria del centro storico di Potenza, arriviamo al bar “Gran Caffè”, il ‘salotto dei gentili’ del capoluogo lucano: “Qui veniva sempre Pasquino, l’allenatore che in città è ancora amatissimo - continua - lo stimo, ci sono affezionato e per me è stato un maestro di vita prima che di calcio: aveva la singolare capacità di mettere tutti i giocatori a proprio agio, comprendendo il carattere di ciascuno e permettendo, così, un coinvolgimento totale della persona che poi rendeva al meglio delle proprie capacità tecniche come calciatore”. 

“Va di moda oggi parlare di ‘tiki-taka’, ma ai tempi della marcatura a uomo Pasquino era già un precursore con il suo calcio fatto di grande palleggio e possesso palla, velocità e qualità. Questa cultura calcistica si sposava a pennello con la mia quando ero ancora un calciatore e, adesso, tento di replicarla da allenatore”. In città mentre passeggia, la gente ferma di continuo l’allenatore: tutti hanno negli occhi il Potenza del Viviani che lo scorso sabato ha battuto il Catania; tutti avrebbero firmato anche per un pareggio, invece… con quattro attaccanti in campo le cose sono andate molto bene.

“Il calcio è vita, nel senso che è proprio vivo: devi saperlo ascoltare, perché ti parla. Contro il Catania ho infatti pensato che l’unico modo per poter vincere era aggredire l’avversario, minando così la sua certezza e rafforzando le sicurezze nei nostri mezzi. Non vivo di dogmi, tantomeno di quelli di tipo tattico. I giocatori che ho a disposizione devono vestire l’abito che meglio sentono di indossare. E io devo essere solo un buon ‘sarto’”.

 

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 09 novembre 2018 alle 16:48 / Fonte: Giovanni Caporale per Gianlucadimarzio.com
Autore: Mario Pesarini
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