"Ah, sei di Lagonegro? Ma si scrive staccato o attaccato? E poi si trova in Calabria o in Campania?". "No, si trova in Basilicata, hai presente?". "Aspetta, forse ho capito. C'è l'uscita autostradale, vero? L'ho vista quando andavo in Sicilia. Però, che brutta uscita, c'è sempre la nebbia". "La nebbia? A Lagonegro non c'è quasi mai la nebbia. Forse ti riferisci a Lauria. E poi Lagonegro non è solo un'uscita autostradale: abbiamo l'ospedale, il tribunale, gli uffici, le scuole. Lagonegro è tante cose. Ed è il paese di Mango". Sono le tracce di un dialogo non inventato. Chiunque sia nato e cresciuto a Lagonegro - provincia di Potenza, poco più di 5mila anime ma il titolo di città, che sfoggia con un po' di albagia, sin dal 1958 - più volte si è trovato a sostenere questo tipo di discussioni. Ha dovuto spiegare di non essere cresciuto lontano dalla civiltà, di aver avuto la stessa possibilità di istruirsi, di curarsi, di difendersi, di chi è nato in una metropoli. E di essere lucano. "Sì, gli abitanti della Basilicata si chiamano lucani. Non lo sai? Spiace per te, evidentemente non hai mai aperto il Sussidiario. Sono cose che si studiano in terza elementare", è la risposta che la sottoscritta - lucana e lagonegrese - si è trovata a dare più volte all'interlocutore (sventurato, ma non così raro) che credeva che i lucani fossero abitanti di Lugano, o di Lucca.
C'era, però, un modo per chiudere le discussioni con il poco colto interlocutore. Ed era questo: "Lagonegro è il paese di Mango". Il riferimento per anni è stato a Pino Mango, compianto cantautore che a Lagonegro è nato e cresciuto. E che a Lagonegro ha inciso i suoi dischi migliori, nello studio "Oro". Lontano dalla città, ma pronto ad andarci quando ce n'era bisogno, ha vissuto quasi sempre nella casa di famiglia, che aveva allargato e ristrutturato e che si intravede ancora nel cuore del paese. Frequentata negli anni scorsi da alcuni dei nomi più importanti della musica italiana - Loredana Bertè ricorda ancora quanto cucinava bene la madre di Mango - la casa ancora si scorge lì, protetta dalla recinzione tra i vicoli del quartiere Sant'Antuono, la cui strada principale è una ripidissima salita di selciato con tante case ormai disabitate, che porta fino a un grande edificio bianco, che per anni ha ospitato l'istituto magistrale e oggi ospita due indirizzi di liceo. In quella casa ha abitato sin da bambina, e lì è rimasta fino al liceo, Angelina Mango. Cantautrice, vincitrice di Sanremo e secondogenita di Pino Mango e Laura Valente.
Ecco che allora quella frase - "è il paese di Mango", pronunciata già con un certo orgoglio - in queste ore sta triplicando il suo significato. Senza paura di sembrare campanilisti - e anche se lo fossero, concedeteglielo, concedetecelo - da giorni i lagonegresi rivendicano le origini di Angelina. Lo fanno tra di loro e davanti alle telecamere. Lo fanno perché in provincia le radici hanno un significato vero, profondo, che sa di rivalsa, di senso di appartenenza. Di rivendicazione. Sono questi i sentimenti che suscita la vittoria di Angelina, di questa 22enne sorridente che ama il mare di Maratea, che torna ogni tanto a Lagonegro e che fino alla partecipazione ad Amici amava esibirsi sui palchi improvvisati dei paesi dell'area. Di quei paesi prostrati da uno spopolamento che ormai non si combatte neanche più, in cui i giovani sono una specie in via d'estinzione, in cui fioriscono realtà imprenditoriali e turistiche piccole ma interessanti. Che, però, poi devono fare in conti con l'abitante medio che continua a ripetere, come un mantra, "ma qua non c'è niente". E nessuno mai che gli chiede "ma che significa 'non c'è niente'?".
"Orgoglio di Lagonegro", c'era scritto sullo striscione con la foto di Angelina appeso nella sala consiliare dove l'amministrazione ha organizzato la proiezione della finale di Sanremo. In quell'edificio bianco, dove ora c'è il municipio, fino a una ventina d'anni fa c'era un intero plesso scolastico. Le scuole ora sono altrove - due plessi, nella parte più alta, dove la collina lascia lo spazio a un'altitudine già da montagna - e resistono molto meglio rispetto a quelle dei centri più piccoli. Ma la differenza con i decenni passati, in cui molti più grembiulini colorati uscivano dalle scuole alle 16.30, è evidente. A Lagonegro come in qualsiasi altra provincia dell'Italia interna.
In una di queste scuole - un edificio che nei decenni scorsi ospitava il liceo scientifico e che quando è stato ristrutturato è stato dipinto di un fucsia sgargiante, ormai sbiadito - ha frequentato la primaria Angelina. Le maestre, Rosalia e Maria, ancora ricordano quanto fosse brava quell'allieva che si comportava come tutti gli altri, nonostante i genitori "famosi". Nonostante il cognome importante. Con quel cognome Angelina ha dovuto fare i conti quando il papà è morto prematuramente. Quando quel dolore l'ha travolta poco più che bambina. È riuscita a superarlo, però, Angelina. Con grazia e leggerezza. E non ha perso quell'umiltà che ha imparato tra le strade in salita e piene di curve di Lagonegro. Tra quella stazione dismessa e decadente che suo padre ha cantato e che affascina gli appassionati di archeologia industriale e il viale centrale dove si va a passeggio. "U chiano", lo chiamano, anche se è una dolce salita. Non ha perso la grinta che, chi l'ha conosciuta lo ricorda, aveva già quando si aggirava per le vie del paese, tra il tribunale che è miracolosamente sopravvissuto a un improvvido progetto di chiusura e quell'ospedale - l'unico pienamente attrezzato della zona - sopravvissuto alle progressive chiusure di altri ospedali nati nei tempi delle promesse e delle vacche grasse, che ormai la sanità non riesce più a tenere in piedi. "Arriva l'ospedale nuovo", promettono da decenni i politici di ogni colore, ben consapevoli del fatto che non si può lasciare un'area vasta. spopolata e per questo piena di anziani, con un solo ospedale pienamente operativo. I residenti ormai quest'opera avveniristica super annunciata non se l'aspettano neanche più. E ci scherzano su, senza rabbia, ma con quella rassegnazione ereditata dalla società contadina che - con troppo cinismo - un ingeneroso Edward C. Banfield ha descritto nella sua opera ambientata in Basilicata, dall'eloquente titolo "Le basi morali di una società arretrata".
Autore: Redazione / Twitter: @tuttopotenza
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