Ho visto sugli spalti volti su cui non avrei scommesso una lira, ho visto me.

Perché dopo aver fatto più o meno pace con la mia città, non potevo non vivere una delle domeniche di questa stagione sportiva che ha cambiato qualcosa a Potenza.

Di calcio – arrivati a questo punto vi è chiaro – conosco poco i personaggi, sommariamente le regole, per nulla le dinamiche che regolano riti e relazioni – quasi mai le ho apprezzate, ammetto – tra tifo, tifosi e società. Ma questa volta il calcio non è tutto; c’entra, certo, ma non è tutto.

Così ho deciso di regalarmi quei riti e osservarli da vicino. Potenza è una città triste, ma non allo stadio.

Quello che è successo in città è un piccolo miracolo sociale e sportivo. Va oltre la squadra osannata quasi fosse ogni volta una finale di champions league, va oltre la curva ultra che è tornata a esultare, va oltre le vicende politiche del presidente Caiata, nel frattempo diventato deputato con il M5S. Va tutto oltre il Potenza Calcio.

Potenza è una città triste, ma allo stadio non lo è più.

La stagione calcistica vissuta quest’anno a Potenza è stata l’unica cosa capace di costruire un sentimento di comunità, un senso di appartenenza.

Allora, anche dopo un paio di presenze allo stadio e diverse chiacchiere con gli addetti ai lavori, io continuo a non riconoscere il fuorigioco e a chiedere conto di nomi e numeri sul retro delle magliette, ma tant’è. Ci sono cose che ieri, allo stadio Alfredo Viviani, mentre il Potenza affrontava il Picerno in una delle ultime partite del campionato di serie D, ho capito subito.

Ho capito subito la signora Maria, alle mie spalle, appena un gradino più su, che credo di strategia calcistica sappia persino meno di me: ha passato 90 minuti a urlare «vai Potenza, vai Potenza, vai Potenza». Solo una volta ha accennato un «Forza Franca!». Deve averlo letto scritto così, da qualche parte. Ma il numero 9 del Potenza Calcio è brasiliano, la pronuncia della “C” suona più simile a una zeta sibilata, França. La signora Maria non lo sa, ma non fa nulla, ha esultato comunque sul quattro-a-zero come fosse stata la partita della sua vita.

Carlos França, appunto; è l’idolo del momento, uno di quei giocatori che tutti cercano, tutti acclamano. A fine partita abbraccia

i bambini in attesa e, no, si capisce davvero subito che non è questione di pubblicità. La moglie lo segue sempre, giacca nera e jeans, come ogni giorno, quando accompagna i figli a scuola o va al supermercato. Gente di città.

Guaita, Pepe, Siclari e gli altri, di mattina spesso passeggiano nel corso, salutano tutti, si fanno salutare.

Parolacce e insulti non sono mancati, per carità, come i fischi alla squadra avversaria (peccato, a dirla tutta). Ma ho visto anche gli spalti pieni di bambini, mamme e famiglie intere. Ecco, questo è l’indicatore.

Mi sono fatta spiegare i riti del passato che ritorna: le battute su Pasquale Arleo, l’ex allenatore che oggi guida agli avversari, il saluto riconoscente a Peppe Lolaico, ex bandiera rossoblu questa volta in campo con gli avversari.

Mi sono fatta spiegare lo striscione sfotto’ welcome in Potenza, rivolto alla presidenza italoamericana del Picerno. Mi sono fatta spiegare i conteggi che separano il Potenza calcio dalla promozione in serie C – e allora sì che sarà festa cittadina, quasi come i giorni del santo patrono, o forse anche di più. I festeggiamenti per San Gerardo, che Potenza aspetta come sempre a fine maggio, questa volta arriveranno poco dopo la fine del campionato più avvincente dai tempi del Potenza Miracolo in serie B. Festa doppia, anche di più.

Le città hanno bisogno di sfide e spazi immateriali in cui ritrovarsi. La mia città lo sta facendo in uno stadio pieno di sciarpe e bandiere rossoblu.

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 16 aprile 2018 alle 21:59 / Fonte: Sara Lorusso per Basilicatapost.it
Autore: Redazione TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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