Il 23 novembre 1980, da diciassettenne affamato di calcio, dopo aver saputo cosa avesse fatto il Potenza (sconfitta di misura a Casarano), insieme al solito gruppetto di amici decidemmo di tirare qualche calcio al pallone dietro piazza delle Regioni. Eravamo un gruppetto di “girovaghi” per spiazzi e, a seconda del numero dei giocatori, sceglievamo la piazza o la via più adatta. Quel giorno toccò ad una via dalle parti di piazzale Toscana. Alle 19:34 si sentì uno strano boato, le luci si spensero e tra vetri che vibravano, rumori sinistri di scricchiolii non capimmo subito cosa stesse succedendo, poi un attimo di silenzio apocalittico, mi ricordo che sia abbracciammo tutti, poi gridammo, pur non avendo alcuna esperienza “il terremoto” aggiungendo “andiamo in piazza”…

Le nostre grida si unirono a quelle di tante altre persone e capimmo subito che era successo qualcosa, non sapevamo esattamente cosa, ma ci assalì un brivido di terrore. Corsi verso casa e vidi i miei, era domenica e c’era l’usanza di riunire la famiglia a casa dei nonni, che scendevano pallidi e impauriti lungo le scale del palazzo.
Lì vicino, oltretutto, era ancora funzionante parte dell’Ospedale San Carlo, non tutto trasferito ai nuovi padiglioni, e dopo un po’ di tempo si iniziarono a sentire anche le sirene… 

Passammo la nottata all’addiaccio, nelle autovetture parcheggiate in piazza delle Regioni, cercando di capire dalle radio cosa fosse successo, Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Balvano nomi di paesi con i primi dati sui decessi, sui feriti, sui danni…

Mio zio, capo redattore della Gazzetta del Mezzogiorno, non curante delle sollecitazioni dei miei nonni di non tornare nell’appartamento, salì di buona lena e prese possesso del telefono, si perché all’epoca gran parte dei cronisti “dettavano” per telefono alle redazioni centrali i “pezzi” e presto sull’appartamento divenne la sede dislocata e la succursale de La Gazzetta del Mezzogiorno, per parecchi giorni fu quella la base dell’informazione e non solo per la testata pugliese. 

Pian piano arrivavano notizie anche dalla città, si parlava di palazzi crollati, di persone sotto le macerie: in un attimo lungo circa 40 secondi la vita di tanti cambiò…

Sono passati 40 anni, ci troviamo ad affrontare un’altra emergenza, ma quella difficilmente potrà essere eguagliata, ti sentivi dentro l’impotenza e la rassegnazione a un evento che pochi conoscevano e che ancora oggi, girando per alcuni vicoli dei centri lucani, lascia un'angoscia profonda, specialmente se si "ammirano" le testimonianze di quella devastazione a monito di chi dovrebbe pensare alla prevenzione di un territorio a rischio, ma da allora, in questo settore, poco o nulla è stato fatto. Restano, indelebili, i ricordi e le tante parole di solidarietà, le facce dei soccorritori a partire dai militari di quel 90° Battaglione Fanteria Lucania che è stato poi cancellato dalle “lungimiranti” menti della politica, delle forze dell'ordine, delle voci che si susseguivano alla radio e delle sirene... Il mio ricordo lo fermo qui, del poi e della presa di coscienza dell’immane tragedia che ora dopo ora si prospettava c’è tanto materiale e, purtroppo, ancora oggi non si riesce a chiudere definitivamente quel capitolo...

Sezione: Editoriale / Data: Lun 23 novembre 2020 alle 13:59
Autore: Rosario Cammarota
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