Il calcio a tutti i suoi livelli è sopravvissuto e sopravviverà a problematiche di ogni genere, guerre ed epidemie ma nel suo complesso non cambierà mai. Troppi interessi dilaniano questo sport e Donato Macchia dovrebbe saperlo dato che egli stesso porta avanti le idee (?) del presidente della nostra italiana Figc Gabriele Gravina.
Macchia non sa forse che ci sono venti squadre in Serie A, 20 in Serie B, 60 in Serie C. Cento club professionistici sono troppi (non ce li ha nessuno in Europa), l’industria del calcio non produce abbastanza risorse per tenere in vita cento società, che oltretutto hanno dimensioni clamorosamente diverse fra di loro. Cercare una distribuzione equa delle risorse porta solo a spalmare un velo sempre più sottile, scontentando tutti. Una riduzione dei club a tutti i livelli del professionismo aumenterebbe la salute economica del sistema. Certo chi è dentro, in questo momento, non ne vuole uscire e quindi è una delle riforme più difficili da attuare, anche se sarebbe la prima e indispensabile per creare una piramide più efficiente e disperdere meno denaro.
Macchia non sa forse che i centri tecnici federali sono un progetto che evidentemente non sta dando frutti, se non ci sono più giocatori italiani di talento da portare in nazionale. Operare a livello locale sui giovani, non lasciando il compito solo alle società sarebbe un punto di partenza per creare la nazionale del futuro. Ma qualcosa non sta funzionando. Nel volley, quando gli stranieri avevano preso il sopravvento, la Fderazione ha creato il club Italia, una squadra che è iscritta in Serie B e si occupa di fare giocare i crescere gli italiani. È un’idea che ha funzionato, ma nessuno nel calcio sembra volerla prendere in considerazione.
Macchia non sa forse che c’è un buco nero che inghiotte i nostri talenti fra i 17 e i 22 anni. Questo perché usciti dalla Primavera, solo pochi sono in grado di effettuare il salto in Serie A, così vengono dispersi in prestiti che ne rallentano o ne bloccano la crescita. Le seconde squadre sono il meccanismo in cui, in tutta Europa, hanno ovviato il problema del passaggio intermedio tra le giovanili e il calcio di élite. Venti su ventisei convocati dalla Spagna sono passati dalle seconde squadre.
Macchia non sa che in Italia i settori giovanili seguono logiche perverse. E tutto nasce dalla presenza di “allenatori” o presunti tali al posto di istruttori. In genere l’allenatore delle giovanili pensa a emergere, ha come obiettivo il successo nel suo campionato, nella speranza di farsi notare, e non quello di formare giocatori del futuro. C’è un’esasperazione tattica che parte dai bambini di 8 anni ai quali viene insegnata la diagonale invece che il controllo della palla. Tutto questo porta anche a una selezione dei talenti sbagliata: si scelgono i giovani giocatori in base al peso e all’altezza (per vincere) e non in base al talento, tagliando fuori potenziali campioni, magari non ancora sviluppati. In Spagna si segue un processo esattamente contrario: hai talento? Sei dei nostri, non importa quando sei grosso. Abbiamo un centro tecnico che ci invidia il mondo a Coverciano, dove formiamo allenatori eccellenti (da Carletto Ancelotti in giù), perché non si crea un corso per “formatori di giovani”, seguendo una strada diversa da quella degli allenatori. Una figura che deve coltivare il talento e poi consegnarlo agli allenatori?
Macchia non sa che per quanto riguarda la Var mai verrà adottata in maniera integrale in Serie C se non per i play off ed i play out di fine stagione. In generale è il sistema Var a non funzionare. Secondo le previsioni più ottimistiche il VAR avrebbe dovuto non solo ridurre gli errori arbitrali, ma anche diminuire discussioni e recriminazioni, rendere più oggettive alcune decisioni. Otto anni dopo la sua introduzione in Serie A, su questa seconda parte si può dire che non sia riuscito nel suo intento: oggi in Italia si parla ancora tantissimo di arbitri e arbitraggi, quasi tutti sono scontenti e si lamentano delle loro decisioni, e la percezione generale è che il calcio e le discussioni intorno al calcio non siano migliorate da quando si possono rivedere le immagini.
Il VAR ha reso infinitamente più controversa la valutazione dei contatti, perché ha inserito un regime visivo diverso, quello della staticità. Un regime che entra in conflitto con la dinamicità del gioco. In questi casi il VAR non solo non evita l’errore ma lo causa. Durante la revisione col VAR possiamo vedere questi arbitri rallentare l’immagine fino a fermarla per vedere se riescono a trovare il contatto tra un piede e l’altro. Solo che ciò che non è falloso in un regime di dinamismo, in presa diretta, può diventare falloso in un regime di staticità, che però non è più giusto. I regolamenti sui contatti in area di rigore, specie quelli di mano, sono impazziti in questi anni, per aggiustarsi attorno all’occhio del VAR.
Il presidente del Potenza Donato Macchia può chiedere lumi comunque al suo ds Enzo De Vito uomo Figc e figlioccio proprio di Gabriele Gravina... ma questa è un'altra storia...
Autore: Redazione
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