Tra le 33 onorificenze al Merito conferite dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, spunta anche quella per l’ex portiere di Roma, Lazio e Inter Astutillo Malgioglio. L’uomo, 63 anni, nel corso della carriera spesso travagliata ha giocato per Brescia, Pistoiese, la Roma, Lazio e Inter, per terminare il percorso all’Atalanta. Ma è nel sociale che probabilmente Malgioglio raccoglie i successi più importanti della sua vita, poco riconosciuti dal mondo del calcio, ma finalmente almeno dal Quirinale che lo premierà il prossimo 29 novembre per «il suo costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia». La folgorazione avviene a Natale del 1977: Malgioglio viene convinto da alcuni amici a far visita a un centro per bambini cerebrolesi. «Mi impressionò la loro emarginazione, – ha raccontato a Il Fatto Quotidiano – l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma quel giorno tutto mi apparve chiaro».
La carriera è sempre in continua ascesa: parallelamente al calcio porta avanti gli studi e si laurea in Medicina ed è il 1980, quando Azeglio Vicini lo vuole nell’Italia Under 21 come vice di Giovanni Galli. Traguardi che non gli sono sufficienti a sentirsi appagato: per cui parla con la moglie, Raffaella, e insieme decidono di studiare una soluzione per quei bambini. «Acquistammo i macchinari e aprimmo a Piacenza un centro per la riabilitazione motoria dei bambini. Chiamai la palestra “Era77”, dalle iniziali del nome di mia figlia Elena nata nel 1977, di mia moglie Raffaella e del mio. Offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli». Per lui «la vita non è solo una palla di cuoio». L’impegno nel sociale non viene visto di buon occhio dalla società in cui gioca, il Brescia. Che infatti lo mette fuori squadra a causa dello scarso impegno, nonostante avesse dato un contributo fondamentale alla promozione nel 1979/80 e nella stagione 1981/82. «Quello pensa agli handiccapati anziché parare», gli dicevano. Accuse cui lui risponderà anni dopo: «In tutta la carriera non ho mai saltato un allenamento. Ero uno di quelli che si definiscono “professionisti esemplari”». Ma per la Leonessa c’è poco da fare, e retrocede in C1.
I giallorossi lo vogliono con loro, nel 1983 Astutillo accetta l’incarico da Niel Liedholm. Il tecnico svedese gli dà l’ok per usare la palestra di Trigoria per assistere i suoi ragazzi, come farà anche Eriksson dopo di lui. Poi è la volta della Lazio, dove fa il suo esordio nella stagione 1985/86. «Sporco romanista, sei il primo della lista», gli urlano i tifosi biancoceleste: il suo impegno a favore dei più deboli diventa il pretesto per dargli addosso in un campionato in cui la società non brilla affatto. «Se stai sempre con gli handicappati, quanno ce pensi ar pallone?», gli dicono. Lanci di bottiglie, fischi e pomodori accompagnano la fine dei suoi allenamenti. Il divorzio dalla squadra avviene quando, al termine di una partita, si toglie la maglia, ci sputa sopra e la lancia sugli spalti degli ultras. La società lo sospende a tempo indeterminato e chiede alla Figc la sua radiazione per oltraggio alla maglia.
Alla fine degli anni Ottanta arriva all’Inter dopo la chiamata di Giovanni Trapattoni. Sono 5 anni felici. «Con gli ingaggi dell’Inter rinnovai la palestra con attrezzature all’avanguardia. I ragazzi venivano da tutta Italia per fare rieducazione nel mio centro. Facevo allenamento al mattino ad Appiano, poi al pomeriggio lavoravo, facendo terapia con un disabile all’ora. Se c’era allenamento al pomeriggio, arrivavo a Piacenza in tempo per farne uno solo, verso sera. Dicevano che mi distraeva, invece a me dava una carica straordinaria». Nel suo secondo lavoro prova a coinvolgere anche i compagni di squadra, come il tedesco Jurgen Klinsmann, che per la causa gli staccherà un assegno da 70 milioni di lire.
L’ultima stagione calcistica la gioca nell’Atalanta: dice addio al calcio nel 1992, a 34 anni dopo 264 gare disputate fra i professionisti. Il pallone si dimentica presto di lui e nel 1994, per mancanza di fondi, deve chiudere la sua palestra. «Offrivo assistenza gratuita, e il denaro per un’idea del genere, l’unica possibile, non c’era più. – ha spiegato – Ho regalato i macchinari. Finché ho potuto, raggiungevo i pazienti a domicilio». Nel 2001 una nuova doccia fredda: la sua associazione “Era77” deve cessare l’attività. «Pensavo di non venirne fuori. Ma ora ho ripreso ad aiutare gli altri con mia moglie Raffaella e sono molto felice. – ha detto al Corriere della Sera – Mettiamo a disposizione la nostra esperienza. Io ho sempre usato le mani, il Signore mi ha dato questo talento e continuo a farlo, stando in mezzo alla gente che soffre, dando tutto me stesso. Perché, come dice il mio padre spirituale, le mani bisogna sporcarsele, mettendole anche nella m***a». Oggi Malgioglio è ancora in attività: sviluppa progetti di sporterapia e continua a battersi per l’integrazione nello sport fra disabili e normodotati.
Autore: Redazione 1 TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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