Si è giocato il primo turno dopo la seconda esclusione dal girone C, quella della Turris che ha seguito il Taranto, e la Serie C si avvia verso il rush finale della Regular Season prima dei play-off mentre il torneo cade a pezzi, tra fallimenti, penalizzazioni ed esclusioni, e nessuno fa nulla per capire quale può essere il futuro del terzo campionato professionistico di calcio nel nostro paese.
Le difficoltà sono evidenti e c’è bisogno di una sterzata velocissima per evitare che nel prossimo futuro possano esserci nuovamente situazioni del genere ma, in realtà, sono anni che si va avanti in questo modo e non si fa nulla per evitarlo. La scorsa estate i vertici del nostro calcio avevano esultato perché non vi erano state esclusioni dopo i controlli e la formazione dei gironi non aveva comportato problemi.
In realtà, la risposta sta tutta in questi numeri: dal 2011 (fino al 2014 c’era la divisione tra C1 e C2) sono stati più di 80 i fallimenti, rinunce preventive comprese, e si sfiorano i 500 punti di penalizzazione. Che qualcosa non funziona è evidente ma nessuno si muove per capire in che modo evitare ogni anno questo stillicidio.
Da anni si discute di una possibile riforma per rendere più sostenibile la Serie C, ma non c'è mai la vera intenzione di modificare un sistema che non produce ricchezza: ogni anno si arriva a questo punto della stagione facendo gli stessi discorsi ma l'immobilismo regna sovrano.
Dal 2000 a oggi sono quasi 200 le squadre professionistiche fallite a tutti i livelli del calcio italiano: in Serie C, come già anticipato, ci sono stati quasi 100 fallimenti, rinunce preventive comprese; e si contano circa 500 punti di penalizzazione.
La ‘Riforma Zola', che è stata mostrata e pubblicizzata come ‘rilancio del calcio italiano' perché riserverà fondi extra a chi utilizzerà elementi del vivaio e obbligherà a inserirne in lista giovanile almeno 8 cresciuti nel club, non è la soluzione.
La Serie C italiana avrebbe bisogno di un mix di riforme strutturali, economiche e organizzative per cercare di rendere la competizione sostenibile e appetibile ad un pubblico sempre maggiore. Il primo passo dovrebbe essere la riduzione del numero di squadre da 60 squadre, divise in tre gironi, a 40, con due gironi da 20, che aumenterebbe la competitività e ridurrebbe i costi di gestione. Un’alternativa alla riduzione potrebbe essere una Serie C1 élite (20 squadre) e una Serie C2 semi-professionistica (40 squadre), per garantire un miglior livello tecnico nella categoria principale. La formula dei playoff e playout dovrebbe essere più spettacolare con partite secche per aumentare l’appeal e con la possibile introduzione di Final Four in campo neutro per la promozione, con eventi mediatici dedicati.
Un altro passo importante potrebbe essere un maggiore sostegno economico con l’aumento della distribuzione dei diritti TV, magari con un accordo più vantaggioso con broadcaster nazionali o piattaforme di streaming; l’introduzione di un salary cap per evitare spese folli e favorire la sostenibilità economica e incentivi per la crescita dei settori giovanili e per il fair play finanziario. A proposito della valorizzazione dei giovani, si potrebbe puntare su premi economici per le squadre che lanciano giocatori che poi approdano in Serie A o B.
La sostenibilità dei club deve essere uno dei punti focali e tutto deve partire anche da regolamenti più rigidi, con un maggiore controllo sui bilanci per evitare fallimenti a campionato in corso, l’introduzione di una licenza economica per iscriversi, simile a quella della Bundesliga e magari mettere sul tavolo incentivi fiscali per chi investe nei club in modo sano.
La crescita delle società deve passare da una maggiore cura per digitalizzazione e il marketing, con la creazione di una piattaforma di streaming ufficiale per tutte le partite di Serie C, un utilizzo di social e un interazione con i tifosi per aumentare la visibilità del campionato ma fondamentale deve essere l’impiego di persone che conoscano la comunicazione e che sappiano valorizzare l’enorme patrimonio culturale Italiano e legarlo allo sport. Basta far lavorare amici, parenti o avvicinare influencer solo per mera pubblicità: serve un lavoro organico per raggiungere quante più persone possibili.
Tutto questo deve passare anche dal miglioramento delle infrastrutture, perché molti stadi di Serie C sono vecchi e poco attrattivi per i tifosi. L’ideale sarebbe averne anche di più piccoli ma moderni, con esperienze migliori per i tifosi (bar, musei ed eventi) per far crescere la comunità intorno alla squadra. Sostegno economico per i club che investono in ristrutturazioni e obbligo di adeguamento delle strutture per le squadre che vogliono iscriversi al campionato.
Una regola su cui si potrebbe lavorare, per cercare di avvicinare sempre più persone, è quella che in Inghilterra chiamano ‘3pm blackout’, introdotta a inizio anni ’60 da Bob Lord che vieta per legge di trasmettere partite in tv tra le 14.45 e le 17.15 del sabato: secondo l’allora presidente del Burnley le partite trasmesse in tv danneggiavano pesantemente i club minori, che vedevano calare l’affluenza allo stadio in maniera drastica e così riuscì a convincere anche gli altri presidenti di lega a supportarlo in questa battaglia. In questo modo se il tifoso di una squadra di prima divisione vuole vederla giocare il sabato pomeriggio deve andare allo stadio e non può farlo in tv: nel caso in cui non trovasse il biglietto, potrebbe sempre cambiare programma e andare a vedere una squadra locale. Per i club minori inglesi questa regola è vitale, soprattutto per chi convive nella stessa città con alcune big della Premier League. Con la collaborazione tra le leghe si potrebbe prendere spunto da questo e pensare ad un qualcosa di simile per cercare di portare più gente allo stadio.
Non si tratta di idee rivoluzionarie, visto che alcuni punti fanno parte del dibattito da tempo, ma per rimettere in piedi la Serie C serve una riforma coraggiosa e organica, che comprenda tutto. Le rivoluzioni sono spesso dolorose ma col tempo portano i loro frutti.
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