Il profilo WhatsApp di Enzo Maresca non si presenta con una foto, ma con una frase celebre del calcio: «È statisticamente provato che nel corso di una partita la media di possesso palla di un giocatore sia di 3 minuti. Questo significa che a determinare il suo valore sia ciò che fa negli altri 87».
«È una massima di Johan Cruijff. L’ho fatta scrivere due estati fa sui muri dello spogliatoio del Leicester, e abbiamo vinto la Championship. Naturalmente l’ho fatto anche al Chelsea, e non è andata male nemmeno quest’anno».
Non gliel’ha contestata nessuno? Nessuno è venuto a dirle che i fuoriclasse risolvono le partite con una giocata?
«Magari ne avranno discusso tra loro, ma a me non è arrivata mezza protesta. La frase va capita. Non minimizza l’importanza del talento, ma sottolinea come ci si possa rendere utili anche la volta che vedi poco la palla».
Il suo Chelsea quest’anno è arrivato quarto in Premier e ha vinto la Conference. Erano gli obiettivi previsti?
«Siamo in anticipo di un anno sulla qualificazione alla Champions, me l’avevano chiesta in due stagioni. Per quanto riguarda la Conference, è naturale che il suo appeal sia inferiore alle altre coppe, ma come dissi nella prima riunione, se il Chelsea si era qualificato a quella vuol dire che meritava di giocare quella. Per vincerla, e l’abbiamo vinta».
A inizio stagione la vostra rosa era mostruosa: 43 elementi. Da chi ha imparato a trattare con così tanti giocatori?
«Beh, alcuni sono partiti. Abbiamo fatto delle scelte forti, perché erano tutti ragazzi di qualità ma la rosa andava ridotta. Sulle motivazioni individuali, Marcello Lippi è stato un maestro insuperabile. La capacità che aveva di parlare con ciascun giocatore, entrargli nella testa e motivarlo nella maniera per lui adeguata, che non è mai uguale a quella di un altro, era eccezionale. Cerco di fare come lui. Cerco».
L’età media del Chelsea è giovanissima. È per questo che, dopo le varie esperienze deludenti con Potter, Lampard e Pochettino, il patron Boehly ha scelto lei?
«L’idea di farmi crescere assieme alla squadra c’è stata, perché ho fatto bene al Leicester e perché vengo dalla scuola di Guardiola, ovviamente».
Il Chelsea spende tanto.
«Ma adesso investe bene, nella direzione in cui va il calcio moderno. Enzo Fernandez e Caicedo sono stati pagati parecchio, ma nessuno ricorda più il loro prezzo per quanto sono cresciuti. Prima si spendeva tantissimo in ultra trentenni che avevano già dato il meglio».
Guardi che sta fotografando il calcio italiano di oggi.
«La premessa è che non voglio dare lezioni a nessuno. Detto ciò, la finale di Champions ha fotografato il dominio di una squadra giovane, capace di grandissime giocate tecniche espresse a un ritmo infernale, energia, corsa, pressing, talento offensivo. Luis Enrique ha costruito un Psg spettacolare, nel mio piccolo al Chelsea cerco di fare lo stesso».
Come esce l’Inter da questo discorso?
«Due finali di Champions in tre anni sono un traguardo, non una sconfitta. Inzaghi dev’essere fiero del suo lavoro, anche perché l’ha svolto dentro a un ecosistema diverso ormai dal resto del mondo.
Soltanto in Italia si continua a pensare che i giovani siano sempre troppo giovani e che l’esperienza legata all’età sia ciò che ti fa vincere le partite. È una scelta culturale, che ti costa in perdita di energia. Io la vedo così, il calcio italiano non regge più il ritmo delle altre scuole».
Vale anche per la Nazionale?
«Certo. Le rappresentative raccolgono il lavoro dei club, come si fa a chiedere di ringiovanire se i giovani non giocano? Il Chelsea ha speso per allestire una rosa di talenti verdissimi, ma questo non ci ha impedito di battere il record dei ragazzi dell’academy che hanno esordito in prima squadra. Sono stati nove. Abbiamo tutti fiducia in loro, e nel lavoro di chi li ha svezzati».
È quello che faceva lei nel primo tratto al Manchester City.
«Facciamo un nome: Cole Palmer. Nella formazione élite delle giovanili del City dovevo sviluppare un talento superiore, oggi al Chelsea mi godo un talento supremo. E ogni giorno cerco di migliorarlo in qualcosa».
Fra tecnico degli élite al City e secondo di Pep, visse un’esperienza infelice al Parma.
«Breve ma fondamentale, dagli errori si impara e lì ne commisi. Però venni preso per un programma di tre anni e cacciato dopo tre mesi: la squadra ci mise comunque i tre anni previsti per tornare in A, e i giovani su cui lavoravo allora, Bernabé, Bonny, Mihaila, sono considerati giovani ancora adesso. Si vede che con me erano dei bambini».
Guardiola si risolleverà?
«Dopo 8 stagioni straordinarie ne ha sbagliata mezza, e già dubita che torni competitivo? Suvvia. Ma io sono di parte, dopo aver avuto l’opportunità di lavorarci confesso di vedere il calcio con i suoi occhi».
Il Chelsea sta per partire per il Mondiale per club. Che succede se arrivate alla finale del 13 luglio?
«L’unica cosa possibile: la Premier riparte il 17 agosto, noi ci raduniamo il 10 e facciamo una settimana di lavoro normale, come se fosse inverno. Ci metteremo un po’ a tornare al massimo, ma i giocatori hanno bisogno di vacanze. E pure gli allenatori, eh».
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