Riccardo Rossi in un libro di poco più di cento pagine li ha definiti "Bomber di provincia": denominati così perchè nella loro carriera hanno giocato prevalentemente in club lontani dalle luci della grande ribalta. Il loro merito? Aver fatto impazzire intere città grazie ai loro gol e a quell'atteggiamento che il tifoso apprezza da sempre.

Gioacchino Prisciandaro, da bomber di provincia, che non ha mai toccato la A, non ha l'onore di avere una pagina di Wikipedia dedicata a lui. Per i tifosi della Cremonese non ce n'è bisogno: lui è "Jack lo squartaporte". Era denominato così il bomber pugliese, capace nei campi della C e D di fare la differenza ovunque andasse. Arrivato a Cremona dopo una vita nei campi del sud, con la positiva parentesi Potenza, si è messo in gioco accettando la proposta della società lombarda.

 

 

Dopo essere arrivato in B con la società grigiorossa torna a giocare in D, nel Palazzolo, dove i ritmi sono più blandi. Inutile dire che ha continuato a giocare fino a cinque anni fa con il Casamassima, cittadina dove attualmente vive Prisciandaro, in Prima Categoria pugliese.

Vi proponiamo l'intervista realizzata da Daniele Mosconi, in esclusiva da TuttoLegaPro.com, all'ex bomber rossoblu Gioacchino Prisciandaro. 

Gioacchino, a 35 anni in B. C'è il rammarico di essere arrivato troppo tardi in alto?

"Purtroppo sono arrivato tardi a giocare in B. Ero alle soglie dei 36 anni e già la cadetteria era un obiettivo che mi ero posto. La serie A? Non è mai stata un assillo: in fondo la mia carriera l'ho fatta e sono soddisfatto di ciò che ho fatto. Ho giocato per ben 25 anni a calcio".

Eri chiamato "Jack lo squartaporte".

"Si, per i tifosi della Cremonese io ero Jack lo squartaporte".

Attualmente cosa fai?

"Ho una stazione di servizio e un bar qui a Casamassima, in provincia di Bari, dove vivo. E' una vita di sacrifici: la mattina mi sveglio alle tre, ma mi piace e lo faccio senza nessun problema. Non ho chiuso con il calcio, nel tempo libero ho una scuola calcio e insegno ai bambini ad avvicinarsi a questo sport con lo spirito giusto".

Cosa ti piace del rapporto con i bambini?

"La loro ingenuità, quella voglia di imparare che oggi si è un po persa".

Non ti manca il calcio?

"Ho smesso cinque anni fa e non mi manca nulla. Ho fatto il calciatore per tantissimi anni e non sento il bisogno di buttarmi in avventure senza senso. Ho avuto delle chiamate dalla D e dalla Lega Pro, ma ho preferito restarne alla larga: ci sono troppe chiacchiere e alla fine non ti pagano. Da queste parti si dice che il pallone s'è scassato".

Secondo te chi l'ha scassato il calcio?

"Può essere anche che sia questa generazione, cresciuta senza tanti assilli. Quello che noto è la mancanza di fame: non appena arrivi nella squadra Primavera, dopo un anno sei già in D o nei professionisti, senza neanche meritarlo. Ci sono delle regole che dovrebbero aiutare i giovani invece li portano a bruciarsi prima del tempo. E' tutto sbagliato. Non ho mai avuto il problema di giocare o meno: mi impegnavo durante la settimana e la domenica giocavo perchè sul campo davo tutto, senza risparmiarmi. Quello che non capiscono i capi del nostro calcio: gettare nella mischia tanti giovani dalle belle speranze, senza rendersi conto che il livello del nostro calcio si è abbassato pericolosamente".

Mancano gli istruttori?

"Non credo siano solo gli istruttori. Loro in fondo li hanno per una, due ore al giorno. La responsabilità - se così vogliamo chiamarla - è di noi genitori. Siamo apprensivi, non accettiamo che qualcuno dica a nostro figlio cosa deve o non deve fare. Me ne rendo conto anche io e so di sbagliare".

La tua infanzia nelle scuole calcio com è stata?

"Era diverso: io a cinque anni giocavo per strada con gli amici. Quando andavo a fare allenamento, prendevo due pullman dopo la scuola. Oggi nella stessa città il genitore accompagna il figlio. C'è una differenza enorme che porta questi risultati. Tu pensa che io da bambino, a otto anni davo una mano in un negozio di salumeria: la famiglia era povera e serviva il contributo di tutti. Non avevo niente e con niente ero felice. La cento lire che mi dava il padrone della salumeria era un premio enorme per me".

C'è qualche giocatore che ti piace attualmente?

"Mi piace molto, per lo spirito che mette in campo, Gigi Castaldo dell'Avellino. E' della vecchia guardia, uno che non si arrende mai. Se pensi che Giorgio Corona a quasi 41 anni fa ancora la differenza a Messina. Noi, mi ci metto anche io, avevamo e abbiamo ancora fame, vedi Gigi e Giorgio. Sappiamo cosa significa il sacrificio.. Ora ti rendi conto di quanti guasti sta facendo la regola sui giovani".

Non credi che manchino i leader in Italia?

"La risposta è diversa da come hai posto la domanda: in ogni spogliatoio ci sono attualmente troppi leader negativi. Essere leader è una dote innata e nel calcio di oggi ce ne sono pochi. Ecco perchè Corona, Castaldo e se mi sfugge qualcuno mi scuseranno, fanno la differenza: sanno fare gruppo. Ci sono troppi leader negativi e questi sono il male del nostro calcio. Anche a Cremona, ad esempio: non è possibile che la società ogni anno investa tanti soldi e non riesca a salire in B. Mi sento ancora con alcuni tifosi e mi rimpiangono. Posso essere orgoglioso a livello personale, ma piange il cuore sapere che nessuno ha il nostro carisma".

A proposito di squadre che investono molto, c'è anche il Lecce che sta faticando a tornare in B.

"Purtroppo c'è un problema di fondo: quando scendi in Lega Pro è raro che torni su al primo colpo. Ci vuole costanza e pazienza, cercando di non investire a caso, ma puntando sui giocatori giusti. Non è facile vincere un campionato, te lo garantisco".

La Cremonese dove hai giocato era più forte?

"Non lo so se eravamo più forti: so che eravamo un gruppo dove c'erano leader positivi. E questi fanno sempre la differenza".

Cosa manca al nostro calcio per rifiorire?

"I giovani non ci sono. Probabile che sia un problema generazionale. Nel calcio, come dicono a Napoli, devi avere la cazzimma: questi sembrano delle donnine che hanno paura al primo contrasto. Il calcio è lotta anche nel fango, perchè io un pallone a te non te lo regalo: piuttosto mi spacco una gamba. Credo anche che ci siano troppi stranieri, che arrivano togliendo spazio ai nostri, però è anche vero che non c'è tutta questa qualità".

Tu ne avevi molta di "cazzimma" in campo.

"Se non hai il sangue agli occhi non puoi fare il calciatore. C'erano difensori che facevano paura per come ti picchiavano: allora o ti mettevi a picchiare anche tu, oppure la domenica dopo stavi seduto in panchina".

Abbiamo quasi concluso: cosa manca agli attaccanti oggi?

"Giocano tutti spalle alla porta e così di gol non ne fai molti. Sono pochi quelli che si buttano dentro. E questo è il male minore, se non fosse che non sanno neanche farlo. Per questo ti dico che gente come Castaldo, Corona, sapevano e sanno come fare gol. I più giovani devono prendere esempio da loro". 

Sezione: Gli ex rossoblu / Data: Gio 23 aprile 2015 alle 14:32 / Fonte: Daniele Mosconi, tuttolegapro.com
Autore: Manuel Scalese
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