E' un Auteri a cuore aperto quello ospite ad Ottogol. Un Auteri che ha voglia di metterci la faccia e di chiudere qualche conto in sospeso. E' disincantato, non cerca alibi. Parte dalla terribile sconfitta con la Juventus Next Gen: “Il calcio non ti gratifica quando non semini bene. L'epilogo è giusto: avevamo dimostrato di poter essere competitivi, ma poi è accaduto qualcosa e l'alchimia s'è rotta. Il calcio, in fondo è semplice: tutti devono fare la parte che gli compete”. Qualcuno, invece, sembra aver sconfinato dal proprio ruolo, il “mea culpa” del tecnico è tormentato: “Per la prima volta in carriera ho percepito di essere poco seguito. Sono stato sempre abituato a entusiasmare i miei calciatori, abbiamo sbagliato tutti. Non ci volevo credere ciò che si diceva, che quando sono stato esonerato qualcuno ha festeggiato”.
Un punto nodale della stagione è il mercato di gennaio. Auteri dice e non dice, soprattutto sottolinea di non voler rispondere ad una “domanda estrema” che avrebbe il sapore del senno di poi: “Abbiamo fatto delle valutazioni, i fatti dicono che non sono state corrette”. Dice di averne sentite di tutti i colori: “Che la società non voleva andare in B e quindi di non voler spendere sul mercato. Ma di che parliamo? Eravamo una squadra in salute che però stava inciampando: il mercato è coinciso col periodo che è andato tra le partite di Potenza, Altamura, Foggia e Monopoli. E' vero che ad un certo punto si è perso il concetto di squadra: un compagno non può giudicare un altro, né inseguire obiettivi personali”.
Fa capire che l'Auteri di una volta sarebbe stato più fondamentalista, soprattuto verso chi non sposava il progetto. Ma in questa stagione, soprattutto dopo il ritorno in panchina, tutto è parso diverso: “Avevo pensato di prendere qualcuno e metterlo da parte, ma poi ci ho ripensato e ho provato ancora a coinvolgere tutti. La verità è che abbiamo perso la sacralità del campo: non è detto che si debba per forza essere amici fuori, basta avere rispetto della società e della maglia che si indossa, pensando sempre agli obiettivi comuni”. Ad aumentare le difficoltà anche la velocità con cui ci si è allontanati dall'obiettivo. “Il gruppo non si è rotto, ma nelle difficoltà improvvise ha prevalso l'io e non il noi”.
Sull'ambiente in rivolta esprime vecchi concetti: “Mi è dispiaciuto che qualcuno abbia contestato questa proprietà, mi è sembrato di essere tornati a 8 anni fa. Gli errori li fanno tutti, ma non bisogna mai dimenticarsi delle reali potenzialità di città e provincia”. Usa una espressione colorita: “Non sono qui a fare il parac..., ma preferisco che si contestino l'allenatore e i giocatori, la proprietà proprio non lo merita”. Parla del suo contratto, che andrà in scadenza. Ma lui, se servisse a dare un esempio, sarebbe disposto persino a rescinderlo subito, rinunciando agli ultimi emolumenti: “Non ho mai avuto bisogno di contratti e qui mi sento sempre in debito. Rescindere ora potrebbe essere un motivo di riflessione per qualcuno. Non contano solo i soldi, si sono diritti e doveri. Se non c'è questo senso di appartenenza, vuol dire che molti qui non ci stanno bene”. Ma la domanda è lecita: Auteri rimarrebbe ancora alla guida del Benevento. La risposta è sibillina: “Ho due modi di pensare: uno d'istinto, l'altro più razionale. Ma non vi dico cosa sceglierei, tanto in passato nell'uno o nell'altro caso ho fatto delle stupidaggini”.
Il rapporto col presidente non è mai stato in discussione: “C'è stima, una persona che ha dei valori”. Ma anche con i calciatori, alla fine, salva l'aspetto umano. E fa l'esempio di Lamesta: “Ha iniziato da idolo, era adorato dalla gente. Poi è andata come è andata, ma in questo i compagni non lo hanno aiutato, anzi nei momenti di difficoltà si è sentito preso di mira”. Dice che non ci sono stati atteggiamenti plateali, ma si vedeva in allenamento che non non ci fosse unità di intenti e che traspariva insicurezza anche dalle cose più semplici: “Il rispetto dei ruoli è fondamentale: esprimere giudizi sugli altri non è il massimo. Anche i giovani hanno contratti alti e questo spesso non ti porta ad acquisire coscienza”.
E a proposito di giovani, il giudizio su molti di loro non è mai cambiato: “Il girone d'andata ha espresso dei valori positivi, quello di ritorno l'ha fatto al contrario. Come sempre c'è una via di mezzo: il primo periodo ci indica il potenziale, il secondo parla del percorso formativo. Bisogna educarli alla professione e all'atteggiamento”. Tappa obbligata: il calcio è un gioco di squadra e nessuno risolve i problemi da solo. “Cosa potranno diventare i nostri giovani? Talia è già un giocatore di qualità, Perlingieri potrà esserlo, ma dovrà crescere come uomo. Poi ci sono i Nunziante, i Sena, tutti ragazzi di valore per la categoria. Ovvio che tutti sono chiamati a fare un percorso importante e non solo a raggiungere obiettivi economici”.
Autore: Redazione
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