“Il portiere è solo, è come se stesse “contro” il gioco. È fuori dal sistema, un sentimentale e romantico ante litteram; nonostante il suo attaccamento alla terra, di cui si infanga, più di tutti è un sognatore.

Un conciliatore di mondi, un preservatore e trasgressore insieme. In fondo, un anti-calciatore”.

Bruno Barba è un antropologo, studia il rapporto fra l’uomo e il calcio inteso come culto, religione. Palermo-Potenza ha fatto vedere due facce diverse ma tremendamente uguali del ruolo del portiere, partita nella quale soltanto la zampata di Luperini ha impedito l’avverarsi di una delle leggi del calcio promulgata dal grande Gianni Brera: “la partita perfetta deve finire 0-0”. Alberto Pelagotti e Richard Marcone, due espressioni differenti delle tante sfaccettature che caratterizzano il ruolo affascinante ma dannato dell’estremo difensore. Tanto uguali quanto diversi, tanto forti quanto deboli, tutto e il contrario di tutto.

Il primo incarna il precetto della solitudine del numero uno. Lo si vede lontano da tutti gli altri ad osservare la gara quasi da spettatore, il calcio è un gioco di movimento ma lui è fermo, estraneo, vestito in maniera diversa, un outcast. Il numero uno che deve comunque tenere sempre alta la concentrazione perché basta un lampo, una scintilla, per passare dall’ordine al disordine, dalla quiete al caos, da Pelagotti a San-Pela. Il secondo è il dissacratore, espressione vivente del ruolo dell’estremo difensore che in campo ha poteri che tutti gli altri non hanno e che sottrae al calcio la gioia del gol. La solitudine diventa caos, arriva la prima parata e parte l’iniziezione di fiducia, poi un’altra e un’altra ancora diventano tre, quattro e ti senti invincibile, l’eretico che creando distrugge. Poi crolla tutto.

Psicologia labile quanto un castello di carta quella del portiere, nella sua testa non esistono palloni imprendibili. Tutto è nelle sue spalle, nei suoi guantoni il pendolo che oscilla fra la vittoria e la sconfitta, tra la gloria e la disfatta. Il gol di Luperini, al “supereroe” Marcone, non lascia nulla se non la beffa più grande dell’avercela quasi fatta, qualche bravo e qualche pacca sulla spalla che non cancellano l’onta del fallimento.

Il portiere è l’anti-calciatore così come nel mondo dei superereoi esiste l’antieroe. Un cattivo che cattivo non è, oggetto dell’immedesimazione del pubblico perché guardandolo sconsolato, distrutto dopo aver subito gol Richard Marcone è un eroe che cade ricordandosi di essere umano, come tutti noi. Ma in realtà nel mondo del calcio, fra dribbling e gol e fra vittorie e sconfitte, la diversità può diventare un privilegio e un pallone raccolto dal fondo della rete può fare male ma non uccidere.

Dove l’erba del campo non c'è "l’eroe non ha bisogno di un mantello ma di un paio di guanti".

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 20 novembre 2020 alle 20:03 / Fonte: Forzapalermo.it
Autore: Redazione TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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