L'acqua del fiume Basento è potabile. Lo ha stabilito anche la Procura di Potenza che ha dato mandato ai Carabinieri di effettuare dei campionamenti fatti analizzare da un ente terzo rispetto a quelli regionali preposti. Gli esami secondo quanto dichiarato dalla magistratura "hanno comprovato la conformità dei campioni con quanto previsto dal decreto legislativo 18 del 23 febbraio 2023, concernente la qualità delle acque destinate al consumo urbano, per cui quella esaminata rientra nei parametri di potabilità". Vengono confermati così i risultati dei campionamenti già effettuati da Arpab e Arpa Puglia, chi si è rivolta in ultima istanza la Regione Basilicata. Un capitolo sembra quindi essere chiuso, ma se ne apre un altro. "Oltre a future campionature - fa sapere la Procura - sono in corso ulteriori indagini finalizzate ad individuare eventuali profili di responsabilità in ordine alla crisi in disamina".
Sono ormai due mesi che 28 comuni serviti dalla diga Camastra e Potenza, capoluogo della regione Basilicata, sono senza acqua corrente. Si tratta di 140 mila lucani. Il servizio idrico è razionato e garantito per un massimo di dieci ore al giorno. Gli orari variano di volta in volta. Una prima interruzione c'è stata a giugno. I disagi per cittadini, scuole, attività ricettive, di ristorazione e per la cura delle persona, oltre che per le strutture socio assistenziali private, sono numerosi. Alcuni genitori hanno deciso di ritirare i figli dalle mense scolastiche a causa dell'uso delle acque del fiume Basento, interessato da vari fenomeni di inquinamento in passato, anche accertati dalla magistratura. Da qui la preoccupazione delle comunità, che si sono riunite in un comitato acqua pubblica che sta portando avanti una mobilitazione per chiedere trasparenza alle istituzioni oltre che impegni concreti affinché l'emergenza non solo si risolva, ma non si ripresenti in futuro.
Da un lato, infatti ci sono i cambiamenti climatici, con una riduzione di precipitazioni nell'anno 2023/2024, secondo Acque del Sud (ex Eipli), pari all'80 per cento in meno della media di circa 110 milioni di metri cubi. Dall'altro, la mancata manutenzione della diga risalente agli anni 60, dalla pulizia dei fondali alla messa in rete con altri invasi, fino all'assenza di collaudo, che ha portato l'ufficio nazionale dighe a imporre una riduzione della portata volumetrica della stessa diga per ragioni di sicurezza, passata negli ultimi cinque anni da 17/20 milioni di metri cubi a 7 milioni di metri cubi. A dare il suo importante contributo alla crisi idrica, la dispersione causata dalle condutture colabrodo, che pongono la Basilicata, con il suo 65 per cento, al podio della classifica nazionale secondo i dati Istat, con punte del 71 per cento proprio a Potenza.
Il presidente della Regione Basilicata Vito Bardi (Fi), al suo secondo mandato, eletto la prima volta nel 2019 e nominato commissario per l'emergenza idrica dal governo nazionale, esprime "soddisfazione" per gli esiti degli esami condotti dalla magistratura. "Eravamo certi - afferma - che le analisi confermassero la conformità delle acque e dunque la potabilità, in linea con quanto già certificato da Acquedotto lucano, Arpa Basilicata e Arpa Puglia. Siamo altrettanto certi che questi risultati tranquillizzeranno ulteriormente la popolazione e metteranno a tacere gli allarmismi strumentali di cui si è macchiato in questi giorni chi ha provato a speculare sull’emergenza e sulla salute dei lucani. Per quanto mi riguarda, come commissario all’emergenza idrica, continuerò a lavorare e vigilare affinché tutto sia sotto controllo e non si verifichino più criticità, le cui responsabilità certamente vanno ricercate. Noi, e ringrazio quanti hanno collaborato senza risparmiarsi, siamo quelli che hanno scongiurato l’interruzione dell’erogazione dell’acqua, hanno evitato l’arrivo delle autocisterne, e hanno lavorato e lavorano per mettere la parola fine all’emergenza”.
Il comitato acqua pubblica, allargato anche al forum nazionale "Acqua bene comune", dal canto suo continua a chiedere chiarezza. In un esposto inviato alla Procura e a quaranta enti coinvolti nella gestione della risorsa acqua, sono cinque i punti principali sollevati. Prima di tutto i poteri attribuiti al commissario. L'ordinanza della Protezione civile definirebbe azioni da mettere in campo che vanno dalla captazione di sorgenti allo scavo di pozzi fino all'interconnessione tra acquedotti esistenti, mentre il prelievo di acqua da fiumi non è proprio contemplata. Non vi sarebbe traccia nei documenti ufficiali nemmeno delle deroghe sulla potabilizzazione e classificazione del fiume al Testo unico dell'ambiente, il quale stabilisce che le acque di un fiume possano essere potabilizzate solo dopo una classificazione basata su campionamenti della durata di almeno 12 mesi, cosa ovviamente non avvenuta nel caso specifico. Il comitato chiede chiarimenti anche sul mancato accreditamento dei laboratori di Arpa Basilicata all'ente certificatore Accredia, come stabilito dal ministero della Salute, e sulle analisi di rischio secondo il protocollo previsto dal decreto legislativo 18 del 2023. Dubbi, infine, sulle procedure preventive di valutazione ambientale, trasparenza e partecipazione. Il progetto di captazione dal Basento, per stessa indicazione dell'ordinanza di protezione civile, doveva essere oggetto di procedura di verifica di assoggettabilità a Via (verifica di impatto ambientale) con deposito preventivo per almeno sette giorni di uno studio sugli impatti ambientali e sanitari per raccogliere osservazioni da parte di Comuni, associazioni e cittadini. "Il commissario - spiega il comitato - nella documentazione avrebbe dovuto descrivere con esattezza il progetto prima di adottarlo, spiegarne la coerenza con le norme, evidenziarne i possibili impatti sanitari e ambientali e, soprattutto, illustrare le varie alternative rispetto all'approvvigionamento, nel breve, medio e lungo periodo, compresa l'eventuale strategia per rendere più breve possibile l'eccezionale captazione del Basento".
La mobilitazione sta coinvolgendo perfino lucani che vivono fuori regione, preoccupati per la propria terra di origine, storicamente ricca di acqua e di boschi. La petizione lanciata online dai fratelli Luca e Alessandro Collodoro, originari di Tricarico ma che vivono e lavorano in provincia di Torino, chiedendo l'intervento del governo nazionale, ha superato le 1500 firme.
Autore: Redazione
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