In Serie C gioca – si fa per dire – una squadra fantasma. Nell’ultimo turno ha perso 6-0 in casa, in quello precedente “soltanto” 5-1: ha incassato 11 sconfitte di fila, subendo 36 reti e segnandone appena 4. È rimasta senza giocatori, con i titolari che hanno messo in mora il club e fanno sciopero, in campo rimangono i ragazzini delle giovanili mandati allo sbaraglio. Senza proprietà, che da mesi non paga gli stipendi, mentre nuovi fantomatici acquirenti scompaiono con la stessa velocità con cui erano apparsi all’orizzonte. Ormai anche senza classifica, sprofondata in negativo dopo l’ennesima penalizzazione.
La surreale storia del Taranto (a cui si somma l’altra crisi societaria della Turris) è l’ennesima brutta pagina di calcio italiano, che smonta la favoletta della rinascita della Lega Pro. Nel girone C della terza serie ci sono non una, ma due formazioni sull’orlo del baratro, che forse non riusciranno nemmeno a finire il campionato, con tutte le conseguenze sulla regolarità del torneo che si possono facilmente immaginare. Delle due, la situazione più critica e paradossale è senza dubbio quella dei pugliesi, che solo l’anno scorso avevano raggiunto i playoff e adesso scompariranno con ignominia dal professionismo.
È da agosto scorso che a Taranto sono iniziati i problemi, praticamente subito dopo l’iscrizione, a dimostrazione che le norme di controllo rimangono bacate e insufficienti. Il club fa i salti mortali per partecipare al campionato ma già in ritiro il patron Massimo Giove annuncia il disimpegno, a causa o forse soltanto col pretesto dei Giochi del Mediterraneo che avrebbe reso indisponibile lo stadio Iacovone per quasi due stagioni. Di lì inizia il calvario, una prima penalizzazione a novembre, la seconda negli scorsi giorni, una stangata di altri 9 punti che ha fatto finire la squadra addirittura sotto zero. Intanto i calciatori se ne sono andati e sono rimasti solo i ragazzini della Primavera.
Come spesso accade in Serie C, quando una società entra in difficoltà economica subito spuntano rapaci o uomini della provvidenza. Non si è ancora capito chi e cosa fosse Mark Colin Campbell, l’uomo del mistero di questa storia: imprenditore inglese che avrebbe dovuto rilevare il club lo scorso ottobre, ricevuto a palazzo di città con gli onori del salvatore della patria. Un articolo del Corriere della Sera aveva sollevato dubbi sulla consistenza economica della sua società, la Apex Capital Global LLC, con sede in Delaware. Secondo indiscrezioni, sarebbe stato il frontman di due soci americani di origine indiana nel settore della finanza. I fatti sono che Campbell ha firmato un preliminare, nel mese in cui è stato procuratore della società ha immesso circa 350mila euro, soldi veri, che sono serviti a pagare (in ritardo) gli stipendi in autunno. Poi l’affare è sfumato, nel solito rimpallo di accuse fra le parti: l’ultima offerta – vera, fittizia? Chi può dirlo – è scaduta domenica.
Dall’altra parte rimane Massimo Giove, patron vulcanico e imprevedibile che comunque non vuole mollare il club (anche perché la sua famiglia vanta un credito importante verso la società, che non vuole perdere). Il piano sarebbe puntare al concordato preventivo, e ad una retrocessione pilotata sul campo, per ripartire dalla Serie D, anche se non si capisce come e con quali risorse, vista la massa debitoria, che sfiora i 4 milioni. Paradossalmente, gli stessi tifosi (e la Fondazione Taras, socio minoranza del club) ormai preferirebbero fallire subito: porre fine all’agonia, liberarsi di Giove, soprattutto ripartire con una nuova proprietà ammesso di trovarla, l’anno prossimo dall’Eccellenza (le regole di iscriversi due categorie sotto l’ultima disputata). Un dramma sportivo. Ma l’alternativa è scivolare addirittura in Promozione, se il fallimento arriverà a giugno a retrocessione in D già sancita. Perché alla salvezza non crede più nessuno: quella sportiva è impossibile, quella finanziaria inverosimile. Sullo sfondo continuano ad aleggiare altre figure più o meno credibili, da ultimo un nuovo gruppo ancora misterioso, di origine americana con intermediari sportivi italiani, che avrebbe contattato l’attuale proprietà e anche il commissario dei Giochi del Mediterraneo, Massimo Ferrarese: la cordata sarebbe interessata a gestire, insieme alla squadra, soprattutto il nuovo stadio, quando sarà pronto, che però è di proprietà del Comune. Ma perché qualcuno dovrebbe investire nel Taranto in queste condizioni?
A questo punto il giorno della verità diventa il 16 febbraio, prossimo termine di pagamento degli stipendi: secondo le norme Figc, alla seconda scadenza non rispettata scatta l’esclusione dal campionato. Per rimanere in gioco, la proprietà (quella attuale o chiunque sia) dovrebbe quantomeno saldare gli arretrati: così incasserebbe una nuova penalizzazione ma potrebbe concludere il torneo. Spicciolo più, spicciolo meno, servono 350mila euro subito, forse 7-800mila euro solo per finire la stagione, e poi giocarsi in primavera le carte per l’iscrizione. Il Taranto calcio oggi non ha un presente, chissà se avrà un futuro.
Autore: Redazione
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