Si sono concluse da poco le elezioni nei Comitati regionali della Lnd ed è ora ti tirare le somme sul Governo del calcio dilettantistico che, ricordiamolo, è una Lega che raccoglie la partecipazione, secondo il dato pubblicato nel 2019, di 12.032 società e 64.372 squadre, per un totale di 1.050.451 calciatrici e calciatori (di cui il 360.546 impegnati nell’attività di Settore Giovanile e Scolastico).
Ma rispetto al dato pubblicato sul sito della Lnd, le società chiamate al voto, nelle ultime consultazioni, sono poco più della metà: 6434, al netto dei dati mancanti di Toscana, Molise e Friuli, come abbiamo avuto modo di divulgare con l’articolo, Elezioni Lnd: 6434 società dilettantistiche al voto tra il 7 e l’11 gennaio (clicca per approfondimenti).
Nell’accostarci alla tematica delle elezioni, materia molto sentita – in redazione il telefono è bollente sia perché riceviamo complimenti sul nostro approfondimento, siamo infatti l’unico giornale in Italia dove con un solo clic si può avere un quadro indipendente e libero sulle dinamiche elettorali di tutti i Comitati regionali, sia perché ci viene “suggerito” di smetterla se vogliamo evitare grane giudiziarie - occorre fare anche delle premesse sulla funzionalità delle elezioni in ambito Federazione Italiana giuoco calcio.
Lotta per il potere
Per ottenere la candidatura a presidente Federale occorre raccogliere le designazioni da parte di queste componenti: Lega A, Lega B, Lega Pro, Lnd, dei calciatori, degli allenatori e degli arbitri.
In caso di più candidati all’assemblea elettiva federale, in base all’ultimo statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio pubblicato in data 9 dicembre 2020, il peso del voto delle singole componenti - molto complesso, lo semplifichiamo così - è ripartito: Lega A, 12%; Lega B, 5%; Lega Pro, 17%; LND, 34%; calciatori, 20%; allenatori, 10%; arbitri, 2%. Sarà eletto presidente al primo turno chi ottiene tre quarti dei voti (75%), al secondo chi ne ha due terzi (circa il 67%), al terzo scrutinio basta la maggioranza assoluta dei voti.
Ma chi sono gli attori? Qualche mese fa si palesava una sfida a due per la poltrona più importante del calcio italiano e si intravedevano scenari di guerra tra: Gabriele Gravina, presidente Figc, e Cosimo Sibilia, vice presidente Figc in quanto presidente della Lnd.
Ma facciamo un passo indietro. Nel gennaio 2017 nessun candidato ottenne il quorum necessario per lo scranno più alto della Figc, si aprirono le porte per un commissariamento e nacque l’intesa che ha permesso al tandem Gravina-Sibilia di entrare nella stanza dei bottoni della Federazione, rispettivamente, come presidente e vice presidente. La luna di miele tra i due, però, durò poco: con il passare dei mesi si inasprirono i dissidi, aumentarono le distanze e le gelosie. Gravina prende di petto tutti i problemi. Accentra, opera, si rapporta direttamente con i piani alti delle istituzioni, con i media, ottiene risultati e con l’effetto di non far emergere il suo vice.
Cosimo Sibilia, figlio del commendatore Antonio ex presidente dell’Avellino, non ci sta, se la prende con Gravina per non dargli lo spazio che merita. Sibilia sa muoversi in Federazione, ha capacità, conosce la politica federale, tesse dinamicamente rapporti con il tessuto dei Comitati regionali dei dilettanti. Nel tempo, la frattura tra i due si acuisce a tal punto, qualcuno sostiene, che nemmeno più si parlino. All’orizzonte si profilano le elezioni. E Sibilia è il presidente della Lega nazionale dilettanti, l’azionista di maggioranza dall’alto del 34% del peso dei suoi delegati assembleari. Di solito, chi va a sedersi sulla poltrona di presidente Federale passa per un accordo con i dilettanti. Ma se Sibilia e Gravina non sono in buoni rapporti il problema si pone e la sfida vive in un costante disequilibrio.
Egemonie e guerre segrete
Si arriva al 4 dicembre, sulla scorta di questi scenari di lotte di potere, si apre la kermesse elettorale nei Comitati regionali e mai come quest’anno sbocciano sfidanti al potere costituito dei Comitati della Lnd nelle regioni italiane.
Nel mini tour che vi proponiamo, vi anticipiamo che ci siamo imbattuti in presidenti di Comitati Lnd che guidano le sorti del calcio ininterrottamente da oltre venticinque anni, vertici del calcio regionale che continuano a stare in sella nonostante l’avanzatissima età, scambi di poltrone per mantenere sempre e comunque le mani sulla gestione
del calcio, sistemi leciti - sottolineiamo, a norma di regolamento - che vengono adottati per rastrellare le designazioni delle società ed impedire così che eventuali sfidanti possano arrivare all’assemblea elettiva per un confronto democratico e costruttivo in quella sede.
E’ doveroso su quest’ultimo aspetto un approfondimento.
Le “Norme procedurali per le assemblee della Lega Nazionale Dilettanti”, approvate dal Consiglio Federale nella riunione del 3 dicembre 2020, quindi da Gravina, su proposta di Sibilia, presidente della Lnd, prevedoni un meccanismo, forse desueto – ma i più maliziosi lo definiscono creato ad arte - per presentare le candidature agli organi federali territoriali.
Cosa dice il regolamento?
Chi si vuole candidare alla Presidenza dei Comitati: deve essere designato almeno da 50 Società di sola Lega, se nella Regione ci sono 300 Società aventi diritto al voto; almeno con 100 firme se nel Comitato sono presenti da 301 a 600 Società che possono votare; occorrono almeno 120 designazioni se le società sono da 601 a 1.000; almeno 150 designazioni se ci sono altre 1000 società di appartenenza.
Su questo “almeno” si è scatenata la fantasia di diversi Presidente in carica o loro delfini che, in tempi assai ristretti (16 dicembre 2020- 3/4 gennaio 2021), con la presenza di festività solenni e zone rosse previste dai DPCM, sono andati ben oltre le “almeno” X firme previste, raccogliendo a volte percentuali “bulgare” (es: 80/97%) delle deleghe.
Queste massive raccolte di firme non hanno consentito agli sfidanti di ufficializzare la propria candidatura per mancanza di società che potessero appoggiarli, generando diversi contenziosi.
Anomalie elettorali: 6 gli esposti in Procura Federale
Il modus operandi sopra descritto, assieme ad altre dinamiche, ha dato il via a vari ricorsi presentati dagli sfidanti nelle regioni Campania, Abruzzo, Lazio, Basilicata, Puglia e Umbria. In Veneto il rivale del presidente uscente si è limitato solo ad esternazioni pubbliche senza arrivare, sembrerebbe, ad adire gli organi giudiziari.
Le domande da porsi, sorvolando sui metodi, sulla rete di raccolta delle firme, sui tempi, sui moduli in bianco o vidimati, sono essenzialmente due:
- la prima sull’impostazione, seppur legittima, del regolamento che fa delle previsioni generali ed astratte ma nei fatti, con l’applicazione sui territori, questa previsione ha impedito diverse sfide elettorali. Così il candidato campano: “Per potersi candidare alla Presidenza bisogna presentare almeno 100 designazioni di Società che nel caso specifico della Campania significa circa il 25% degli aventi diritto. Per fare un esempio in una città di 50.000 abitanti chi si è candidato a Sindaco doveva raccogliere circa 70 firme. Da regolamento della LND ne avrebbe dovuto raccogliere circa 10.000. Ma non solo: mentre per tutte le elezioni esiste un tetto massimo di firme da poter raccogliere per potersi candidare, il regolamento della LND prevede che un candidato può raccogliere anche tutte le firme, non permettendo a nessun altro di poter partecipare.”
- la seconda, molto più semplicemente, è: se si è sicuri che la propria candidatura sia la migliore per quel territorio, che le politiche gestionali proposte siano vincenti e condivise, perché, arrivati a poco più di quella soglia prevista dal regolamento non ci si ferma e si consente così, sportivamente, allo sfidante di arrivare in Assemblea elettiva per dare il via ad un confronto democratico, trasparente e partecipato? Di cosa si ha timore? Del confronto?
Queste domande cercano ancora una risposta che proveremo a darvi prossimamente.
Autore: Redazione TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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