Ospite della trasmissione "Un lupo in famiglia" di Prima Tivvù, il centrocampista dell'Avellino, Santo D'Angelo, ha parlato di queste sue prime settimane in biancoverde, analizzando la sua prima parte di stagione, parlando del suo passato, i suoi trascorsi e tanto altro.
Queste le sue parole: "Innanzitutto mi chiamo Santo come mio nonno, non perché sono Santo. Il soprannome "Sonny"? Bel casino. A mia madre piaceva tanto "Il Padrino" e quindi da lì il nomignolo Sonny. In realtà anche mio nonno mi chiama sempre Sonny, però l'importante è che firmi come il suo nome, Santo D'Angelo".
La trattativa con il Livorno: "Ho perso 10 anni di vita per quella trattativa. Siamo partiti in ritiro a Livorno sia io che Agostino Rizzo. Poi un giorno mi chiama il procuratore e dice, andiamo ad Avellino. Non è che mi chiede, me lo dice proprio con certezza, sapendo che io avrei fatto subito le valigie. Siamo arrivati al Partenio, eravamo in pochi ancora ma si respirava aria di una grande piazza. Mister Braglia si vedeva che era un vincente sin dal primo giorno e l'ambizione di questo club si è subito percepita. Ho fatto il viaggio con Rizzo, mi ha detto che si stava bene, lui era stato qui l'anno scorso 6 mesi e mi ha detto solo cose positive".
La carriera: "Ho iniziato dal Palermo dove ho fatto tutta la trafila nel settore giovanile. Unico rimpianto non aver mai esordito in prima squadra con il club della mia città. Ho iniziato a Campofranco in Eccellenza, poi in Serie D a Noto dove arrivammo sesti. Il primo contratto tra i professionisti l'ho fatto a Matera, il primo anno che hanno fatto la Serie C, con Auteri come allenatore. Avevo 18 anni. Sono cresciuto moltissimo anche grazie ad Auteri. Penso che sia stato l'anno più importante della mia carriera".
La famiglia: "Mi ritengo un ragazzo molto fortunato. Non fosse stato per la mia famiglia non sarei un calciatore e non so cosa potrei fare ora. Li sento sempre, tranne il giorno della partita. Preferisco giocare alla play, ascoltare musica, ma non voglio sentire nessuno. Magari li sento la sera dopo la partita se abbiamo vinto. Altrimenti il giorno dopo, soprattutto mio padre".
Sul ruolo: "Il ruolo in cui più mi esprimo meglio è la mezz'ala dove copro meglio il campo. La mia caratteristica migliore è quella dell'inserimento. Ho fatto anche il play davanti alla difesa a Matera, con mister Padalino, attuale tecnico della Juve Stabia".
Il gol al Palermo: "Quando siamo entrati in campo e ho visto il Barbera vuoto mi ha fatto male il cuore. Io sono nato e cresciuto in quello stadio, vedevo le partite in curva, facevo il raccattapalle e ricordo sempre 40.000 spettatori. Vederlo vuoto, come lo è il Partenio e tutti gli stadi d'Italia, fa molto male. Sulla partita ho poco da dire, sono un professionista, ho segnato, non ho esultato per rispetto, ma se dovevo fare 3-4 gol in quella partita li avrei fatti. Vedere il Palermo in questo momento, fa male, con tutte le difficoltà che hanno; auguro una risalita dove meritano".
Il periodo del lockdown: "E' stato bruttissimo. Ero a Potenza chiuso in casa in quei giorni. Stavo impazzendo, non sapevo più l'orario, non sapevo il giorno. Uscivo solo per fare la spesa. Era difficile. Poi alla ripresa, quando ci hanno detto che si sarebbero fatti i playoff, abbiamo iniziato ad allenarci su Zoom in videochat. Una roba assurda ma purtroppo serviva. Dovevamo farci trovare comunque ad una forma adeguata prima degli allenamenti in gruppo. E' stato pesante ma siamo professionisti".
Rapporto con Rizzo: "Lo conosco da 5-6 anni. Lui prima di fare gli allievi a Torino giocava con la squadra di mio padre a Palermo. Io ogni tanto andavo a vedere gli allenamenti e mio padre parlava sempre di Agostino e ora ci troviamo in squadra insieme. Mio padre mi consiglia molto. Essendo allenatore mi consiglia molto, guarda le partite e commenta gli errori che faccio. Fa anche i complimenti, ma è raro".
Su Luigi Silvestri: "Gigi è il giocatore più ignorante che abbia mai conosciuto nella mia carriera in questi anni. E' un istintivo. Spesso perde le staffe, perde la testa, quando c'è da far casini sta lui in mezzo, quando c'è da rispondere al mister è il primo, quando c'è una rissa, magari è dall'altra parte del campo, ma è il primo che interviene. E' un prezzemolino, sta dappertutto, è sempre protagonista. Ma ci vuole gente come lui in campo".
Sugli allenatori: "Il tecnico che più mi ha dato in carriera è stato Aimo Diana alla Sicula Leonzio. Ci dava tantissima serenità anche in settimana, mi sentivo proprio bene con lui. Sono esploso grazie a lui".
Su Braglia: "E' uno spettacolo. E' un sergente quando deve farlo ma è anche un tipo scherzoso, fa battute, ti dice le cose in faccia. Ti manda a quel paese se deve. Non si tiene nulla. Però lo adoro, è un vincente. Sa scindere il momento dove bisogna lavorare e dove bisogna fare sul serio".
L'idolo: "Pastore. Il mio 27 è anche perché era il suo numero a Palermo. Lo adoravo, per me è il giocatore più forte al mondo. Mi piaceva la sua eleganza, il suo talento. Quanto ho goduto con lui, Ilicic, Miccoli. Che spettacolo. A Palermo, come in tutto il Sud, si vive di calcio, io giocavo a calcio da quando ero piccolo per strada".
Le 3 cose che non possono mancare: "La famiglia, il calcio e quello lì... Sogni nel cassetto? Arrivare al massimo".
Il simpaticone del gruppo: "Io spesso porto la cassa nello spogliatoio e canto canzoni neomelodiche napoletane. Amo Gigi Finizio, Tony Colombo".
Autore: Redazione TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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