Non deve essere facile essere tifosi del Potenza. Questo lo dico perché la squadra rossoblu è sempre stata una tra le più falcidiate da fallimenti: era il 1986 quando fallì per la prima volta, a cui fecero seguito le rifondazioni del 1994, 2004 e 2013. Un po’ come il “Noi pochi, noi felici pochi” di Shakespeariana memoria, la piazza ha sempre ingurgitato amaro, salvo poi ripartire con la stessa passione ed entusiasmo: perché è proprio di questo che voglio parlarvi oggi, di passione ed entusiasmo.
Arrivo nel capoluogo lucano con abbondante anticipo, non curante delle strade deformate che costeggiano Tolve e Genzano e, piuttosto, sospinto dai paesaggi bucolici della Basilicata, che si sveglia pigra a colpi di Stone Rosesavvertiti dal mio Clarion ultradecennale. Ho un ricordo decisamente insufficiente della città, in quanto ci sono stato solo una volta, e parecchi anni fa: invero, il riscontro che odiernamente ho percepito è speculare a quello dell’unica volta in cui la visitai. Una città piacente e potenzialmente aggraziata, se non fosse per il decadentismo che l’abbraccia. La città sorge nell’alta valle del Basento, lungo una dorsale appenninica a nord delle Dolomiti lucane, racchiusa da vari monti più alti: il nucleo medievale dell’abitato è posto su un colle a 819 metri s.l.m., mentre i quartieri più moderni sorgono in basso, sino a lambire il corso del fiume Basento il cui alveo, a partire dalla seconda metà del XX secolo, è stato fortemente antropizzato. Una delle opere migliori e meritorie della città è la lunga scala mobile che collega i vari livelli cittadini, e che ci permettono di arrivare dal punto più alto a quello più basso, in pochi minuti.
In città è tangibile il clima di festa, sin dalle prime ore della mattina. Passeggiando lungo il Corso, costeggiando Piazza Pagano, scorgo da subito festoni e addobbi rossoblù che preannunciano la promozione, 8 anni dopo l’ultima sortita nelle serie professionistiche (stagione 2009-2010, con contestuale retrocessione dalla Lega Pro). Essendo un modesto osservatore di mura, percepisco una grossa presenza controculturale, sul territorio, viste le scritte ed i numerosi sticker dei gruppi ultras della città, oltre che qualche adesivo politico. Intorno a Mezzogiorno ci avviciniamo allo stadio “Viviani” e, dopo esserci rifocillati degnamente, costeggiamo tutti i settori del centro sportivo, notando grandi assembramenti nei vari bar adiacenti, nonché un bel murales raffigurante la città con il suo simbolo, ovvero il leone “coronato”.
Entriamo nell’impianto, ovviamente consapevoli che la trasferta è stata vietata (in extremis) ai tarantini: ennesimo segno tangibile, ed inspiegabile, dell’eccessiva repressione che attanaglia anche queste categorie che, fino a pochi anni fa, erano viste come un’aulica isola felice, per chi sostiene la propria squadra. Un vero peccato non poter vedere all’opera i supporter pugliesi, in uno stadio esaurito in ogni ordine di posti (circa 6.000 presenze), tanto che, eccezionalmente, viene aperto alla tifoseria casalinga anche il settore (solitamente) riservato agli ospiti.
La geografia del tifo potentino è ramificata: in Curva Ovest c’è il cuore pulsante della tifoseria, che sin dal pre partita sospinge la squadra alla conquista dell’agognato obiettivo (non dimenticando il ridetto divieto, tanto da esporre uno striscione ancor prima del fischio d’inizio, che era stato già esibito in città nei giorni scorsi). In Tribuna campeggia lo striscione “Fedelissimi” (la prima forma di tifo organizzato a Potenza, nata nel 1967), mentre in gradinata noto i vessilli del Nucleo Storico – Via Mazzini, nonché i Vecchi Ultrà 1992, che trovano sistemazione adiacentemente alla Curva.
Preannunciatami da alcune locandine appese in città, all’ingresso delle squadre in campo la Curva si esibisce in una suggestiva coreografia, raffigurante lo stemma della città “protetto” da cartoncini rossoblù. Molto bello lo striscione attaccato in balconata, che recita: “Nel nostro nome la forza, conquistiamo la vittoria”. Anche in gradinata i supporter si danno da fare, con uno striscione appeso (“Infiamma i nostri cuori”), a cui fanno seguito una cartata e un piccolo telone copri-settore, in zona Nucleo.
In verità, e nonostante il contorno descrittovi, rimango solo parzialmente colpito dal tifo locale: distinta la sciarpata, le manate e i boati (soprattutto ai gol), interessante lo stile anglosassone di alcuni cori, impreziositi (a mio modesto parere) dall’assenza del tamburo. Purtroppo, e come spesso capita in questi contesti collettivizzati, la grande presenza “occasionale” rende poco costante la “prestazione” sugli spalti. Molti cori (forse troppi) riservati ai nemici di sempre, alias materani, ed uno ai cavesi.
Nella ripresa, interessanti i pensieri di carta: in gradinata, con un goliardico: “No al calcio post moderno”; ed un bellissimo: “Non è un gioco, non è una partita, ma semplicemente uno stile di vita”; mentre in Ovest vengono ricordati i diffidati, a cui è simbolicamente dedicata la conquista del campionato.
A fine partita, garantita la C, con il 3-1 del campo, c’è la rituale invasione di campo per festeggiare insieme ai calciatori, tanto che ne approfittiamo per recuperare i nostri documenti e ritornare alle scale mobili. Ora ci toccano altre due ore di macchina, ma tutto sommato resta nella mente un’altra esperienza da raccontare, avendo partecipato ad un qualcosa di storico, per il popolo potentino.
Piccola chiosa di colore: sono riuscito finalmente a vedere, dal vivo, lo striscione “U Potenz è semb nu squadron”, una sorta di poesia breve del mondo del tifo, presente al “Viviani” sin dagli anni ’80, se non prima. 8 anni dopo, passione ed entusiasmo: la nostra giornata a Potenza, nel giorno del ritorno tra i professionisti.
Autore: Manuel Scalese / Twitter: @ManuelScalese
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