Magliette confiscate, tifosi espulsi dallo stadio prima della partita per aver indossato parole come "libertà", giocatori piegati ai desideri del regime. La vittoria dell'Iran sul Galles non è la boccata di libertà che forse pensavano, immaginavano, le migliaia di iraniani rumoreggianti, commossi, quando dopo infiniti minuti di recupero hanno visto eroi anonimi, Roozbeh Chesmi, Ramin Rezaeian, sconfiggere 2-0 il Galles di Bale. No. La Repubblica islamica ha trasformato questa vittoria nel bagno purificatore della nazionale. E mostrarla come un figliol prodigo nasconde l'intento di intestarsene il successo. Gli iraniani avevano perso e il presidente Raisi li aveva definiti traditori. Ora vincono e li ringrazia: "Laboriosi e zelanti". Tutto ha un fine: "Le preghiere della nazione vi guideranno nel proseguimento del cammino", aggiunge. Perché martedì ci sono gli Stati Uniti. Era già una partita ad alta tensione. Adesso sarà anche uno spareggio per gli ottavi. 

Raccontano che siano stati giorni infernali, per Taremi e compagni: minacciati dopo aver "offeso" l'inno che è omaggio al potere restando in silenzio. Davanti al mondo. Un gesto potentissimo, che ne aveva fatto dei rivoluzionari. Forse l'unica immagine più simbolica nel Mondiale dei diritti violati. Stavolta però si sono piegati: il sanguinario regime di Ali Khamenei li ha obbligati, e possiamo solo immaginare come, a cantare. In realtà è stato un mormorio, quasi un sibilo. Evidentemente forzato. Non aveva fatto i conti, Raisi, col sentimento della gente: qualcuno in tribuna si è emozionato, sciogliendosi in lacrime. 

Fuori invece mordeva la censura qatarina. Due tifosi hanno provato a entrare allo stadio indossando una maglietta con una donna senza velo stilizzata e la scritta freedom: sono stati fatti uscire malamente. La sicurezza ha sequestrato bandiere con la scritta "donna, vita, libertà", lo slogan della rivoluzione. Chi filmava veniva spinto e identificato, con richiesta di cancellare i video. Le idee però passano sempre. Dentro lo stadio è comparsa una maglia col nome di Mahsa Amini, la ragazza uccisa a settembre a Teheran dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo: poi, addetti alla sicurezza hanno sequestrato anche quella. Perché il Qatar ha paura: aveva sottovalutato la vetrina offerta alla rivoluzione, che a Teheran è già costata la vita a 416 persone, soprattutto donne, senza contare gli abusi in carcere, i minori detenuti, le condanne a morte per i dissidenti. E ora teme di incrinare i rapporti di buon vicinato con la Repubblica islamica, ricostruiti a fatica dopo anni di gelo. 

A Teheran c'è chi festeggia. E chi si sente abbandonato dagli eroi che avevano sfidato il regime e proprio adesso, nell'ora della vittoria, si piegano. Ma quanto strideva dopo la partita sentire Azmoun, una delle stelle, dire "Grazie a Dio abbiamo vinto" e dribblare l'unica domanda che avevano in tutti in testa: "No, di politica non parlo". Nemmeno una parola per Vouria Ghafouri, calciatore come lui, iraniano, arrestato per le proprie idee poche ore prima. Dicono abbiano paura per le famiglie. E che ci sia un patto per non parlare di politica stretto con l'allenatore, il portoghese Queiroz: "Perché non chiedete agli americani delle condizioni in cui hanno abbandonato le donne afghane?". E perché, caro Queiroz, non iniziare a rispondere sull'Iran?

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 25 novembre 2022 alle 21:11 / Fonte: larepubblica.it
Autore: Redazione 1 TuttoPotenza / Twitter: @tuttopotenza
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